Spese comuni dello studio. Limiti alla deducibilità Cass.ne Tributaria, sentenza n.16035 depositata il 29 luglio 2015
Spese comuni dello studio. Limiti alla deducibilità
Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 29 luglio 2015
La Sezione Tributaria della Cassazione, con la sentenza n. 16035/15 -, si è pronunciata in tema di costi comuni dello studio professionale, promuovendo l’operato dell’Agenzia delle Entrate rispetto a un recupero a tassazione nei confronti di un avvocato, “reo” di aver integralmente dedotto le spese dello studio condiviso con altri colleghi.
Il professionista in questione ha intrapreso il giudizio di legittimità per lamentare, tra l’altro, la violazione dell’art. 54 del TUIR laddove la CTR ha confermato il disconoscimento dei costi dello studio legale, in quanto interamente dedotti e non ripartiti tra gli altri professionisti ivi operanti, senza considerare, quindi, che, trattandosi di “giovani collaboratori tirocinanti”, i costi indicati erano stati sostenuti solo dal dominus, al quale pertanto andava riconosciuto il diritto di dedurli integralmente. Al più i costi in questione avrebbero dovuto essere imputati in proporzione ai proventi di ciascun professionista e dunque imputati nella misura del 66,65% al dominus.
Con riguardo alle suddette censure la Suprema Corte rinvia alle circolari 58/E del 2001 e 38/E del 2010 nelle quali si legge:
a) “Il riaddebito, da parte di un professionista, delle spese comuni dello studio utilizzato da più professionisti non costituiti in associazione professionale, da lui sostenute, deve essere realizzato attraverso l’emissione di fattura assoggettata a IVA. Ai fini reddituali, le somme rimborsate dagli altri utilizzatori comportano una riclassificazione in diminuzione del costo sostenuto dal professionista intestatario dell’utenza” (§ 2.3 circ. 58/E).
b) “Il reddito di lavoro autonomo è determinato dalla differenza tra i compensi percepiti e le spese sostenute. Ai fini reddituali le somme incassate per il riaddebito dei costi ad altri professionisti per l’uso comune degli uffici non costituisce reddito di lavoro autonomo e quindi non rileva quale componente positivo di reddito. È corretto ritenere che il costo sostenuto può essere dedotto dal professionista solo parzialmente, vale a dire per la parte riferibile alla attività da lui svolta e non anche per la parte riaddebitata o da riaddebitare ad altri. Infatti la parte di costo riaddebitata o da riaddebitare non è inerente alla attività da questi svolta e quindi non assume rilevanza reddituale quale componente negativo. Nella imputazione delle componenti reddituali al periodo d’imposta il reddito di lavoro autonomo segue il criterio di cassa, principio che può essere derogato solo nelle ipotesi previste. Pertanto il costo rimborsato al professionista dal collega per l’uso comune del locale di esercizio dell’attività nel periodo d’imposta successivo non può considerarsi rilevante ai fini reddituali per il professionista che lo riceve. Detto componente sarà invece rilevante per il professionista (collega), nel periodo d’imposta in cui effettivamente lo corrisponde per l’uso dei locali” (§ 3.4 circ. 38/E).
Ebbene, i supremi giudici condividono la tesi prospettata dall’Amministrazione finanziaria perché “infatti”, si legge in sentenza, “i rimborsi astrattamente spettanti non costituiscono per l'intestatario dello studio professionale, condiviso con altri colleghi, componenti positivi di reddito bensì minori costi di gestione. Tale impostazione, dunque, fa si che si debba realizzare una esposizione sostanziale delle spese effettivamente sostenute se e in quanto inerenti all'attività di lavoro autonomo realmente svolta da ciascuno, altrimenti risolvendosi l'imputazione integrale dei costi a uno solo dei professionisti condividenti in una sorte di liberalità indiretta, pacificamente non deducibile”.
Gli ermellini, poi, hanno rilevato il difetto di specificità e autosufficienza della censura con cui il legale ha sostenuto l’imputabilità dei costi in proporzione ai proventi di ciascun professionista. Secondo i giudici di legittimità, il ricorrente non ha spiegato “sulla scorta di quali dati, se e dove esposti, si possa giungere all'invocata percentuale”, con la conseguenza che, “mancando la concreta allegazione dell'apporto di ogni singolo avvocato dello studio, la ripartizione delle spese in ragione dei professionisti ivi presenti non è censurabile in punto di diritto”.
Autore: Redazione Fiscal Focus